Terroristi: li abbiamo in casa, ma non lo vogliamo ammettere

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di Salvo Barbagallo

La tragedia di Parigi coglie tutti di sorpresa (?): proviamo paura, sdegno, rabbia. Furore. Ora s’incomincia a comprendere che può capitare a ognuno di noi una morte assurda che nessuna logica umana (e quanto meno “divina”) può spiegare o giustificare. Sin dalle prime ore di venerdì scorso (un 13 novembre che difficilmente potrà essere dimenticato), dopo le prime notizie sugli attentati di Parigi, attraverso i mass media televisivi (e no) decine e decine di commentatori, analisti, giornalisti, esperti (di cosa? Della morte? Del dolore?) hanno profuso milioni di parole, moltissime sincere, moltissime altre colme di retorica e di “sapienza” strumentale. Non sono servite e non servono a nulla, se non ad accrescere una (comprensibilissima e naturale) emotività. Niente, però, può coprire i fatti accaduti, niente può cancellare la disperazione vissuta, direttamente o indirettamente, per lo scempio perpetrato da fanatici criminali (chiamati Jihadisti) che solo criminali assetati di sangue sono, e non “credenti” in una religione, come qualcuno ancora oggi sostiene.

In tanti hanno parlato, in tanti ancora parlano e discutono su come sconfiggere l’Isis, il “Califfato nero”: in tanti hanno una “medicina” pronta per eliminare un cancro che sta consumando, quasi sicuramente, le ultime energie di un corpo già debole, il mondo cosiddetto “civile”. I potenti della Terra si riuniscono per trovare soluzioni “comuni” e, forse, si creeranno nuove e più forti alleanze e le guerre (le “nuove” guerre) assumeranno una dimensione ancora più violenta. Ma la guerra non è una “cura” se non si conosce il male che si vuole estirpare, se non si capisce cosa lo abbia provocato e cosa abbia favorito il suo espandersi.

Mentre proseguono le indagini per accertare l’identità dei componenti i gruppi terroristi che hanno massacrato decine di innocenti, trapela qualche indiscrezione su tre jihadisti che avrebbero preso parte alla carneficina: un 29enne francese di origini algerine e due francesi residenti in Belgio. Come dire, persone che hanno vissuto in Francia, in Europa, cioè in quello che consideriamo (almeno sino ad ora) il “mondo civile”. Magari erano vicini di casa di qualche giovane rimasto ucciso dai loro proiettili mentre stava ascoltando il concerto rock nella sala concerti Bataclan.

Sono fra noi, vivono fra noi i fanatici che si ubriacano del culto della morte in nome di Allah, e non li conosciamo. Si coprono il viso, non vogliono farsi vedere in faccia, neanche quando uccidono. Questo significa qualcosa?

Hanno accusato “falle” nell’Intelligence francese: può darsi, ma si dimentica che l’arma più efficace e temibile del terrorismo è quella della “sorpresa” e che raramente si può prevedere dove e quando colpirà. Ma il punto (a nostro avviso e non ci riteniamo “esperti” o “analisti”, ma semplici “osservatori” che guardano le cose per quelle che sono e per ciò che rappresentano, nei fatti concreti), il punto, complesso nella sua articolazione, riguarda la “natura” dell’Isis; il perché tanti e tanti giovani “occidentali” lasciano patria, famiglia e amici per andare a rinforzare le fila del Califfato jjhadista; il perché il mondo arabo che condanna l’estremismo del terrore, alla fine, lo accetta, non lo respinge, non lo combatte.

Non ci lanciamo in invettive generalizzate, né intendiamo additare le “responsabilità” del mondo occidentale, indicando questo o quel Paese che ha provocato (direttamente, indirettamente o con complicità) la nascita dell’Isis: in merito rimandiamo a un articolo che abbiamo pubblicato lo scorso 1 giugno. In questa sede ci limitiamo a sostenere che non basta solo la forza di un bisturi per estirpare il bubbone dal corpo malato, se non c’è attorno al chirurgo “primario”, che si assume responsabilmente il suo ruolo, una équipe consapevole e (soprattutto) partecipe dell’operazione che viene fatta. Come dire: se il mondo islamico (che rigetta la violenza e la distruzione, come estranea al suo modo di interpretare la vita) sta solo a guardare come se la questione non lo riguardasse, le buone intenzioni (o la sola forza) non produrranno nulla di positivo. Il “buonismo”, poi, non è cura, né medicina, ma solo alibi di chi non ha proposte da avanzare per risolvere i problemi.

L’Isis nato in “laboratorio” USA?

Di Vittorio Spada

Non siamo appassionati delle teorie della cospirazione globale, e non vorremmo essere tacciati di “antiamericanismo”, ma di certo attenzioniamo, per cercare di comprenderli, i “fenomeni” che mutano, in un modo o in un altro, le vicende sociopolitiche di un Paese e da dove scaturiscono (o nascono) questi “fenomeni”. Le vicende legate al terrorismo jihadista dell’Isis sono note ormai da tempo in tutte le parti del mondo: atrocità, violenze, distruzione sembrano non avere nulla d’umano. Ecco, il “fenomeno Isis” non tutti riescono a comprenderlo, fortunatamente non tutti lo legano alla religione islamica. Un articolo di Luca Ciarroca (Giornalista e scrittore di geopolitica e macroeconomia), pubblicato sabato scorso da “Il Fatto Quotidiano”, offre spunti non indifferenti di riflessione.

Cosa dice Luca Ciarroca: In politica estera l’America ha sempre sbagliato tutto. Propaganda di un gruppo radicale anti-Usa? No, parole pronunciate da un candidato repubblicano alla Casa Bianca per le presidenziali 2016. Rand Paul, senatore, libertario, non-intervenzionista, è sicuro che dietro l’ascesa dell’Isis ci sono gli americani, anzi, “un paio di  repubblicani esperti di affari esteri” – Lindsey Graham e John McCain (quest’ultimo sconfitto da Obama nel 2008 e oggi guerrafondaio n.1). “Isis è sempre più forte perché i falchi nel nostro partito hanno fornito indiscriminatamente armi agli estremisti”, ha detto a Morning Joe su Msnbc il senatore. “Volevano far fuori Assad e bombardare la Siria. Sono stati loro a creare questa gente”. E poi: “Tutto quel che i falchi hanno fatto e detto in politica estera negli ultimi 20 anni riguardo a Iraq, Siria e Libia, lo hanno sempre sbagliato”.

Luca Ciarroca continua: Cospirazionismo? Decidete voi. Ma che direste sapendo che la tesi della ‘regia occulta’ ha avuto l’avallo anche ai massimi livelli dell’amministrazione di Washington? Ne ha parlato il n. 2 di  Barack Obama, Joe Biden, vice-presidente degli Stati Uniti. In un discorso tenuto  all’Università di Harvard, in Massachusetts, Biden (notoriamente incline alle gaffe) ha accusato i paesi alleati Usa nel Golfo – Turchia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar – di non fare abbastanza per combattere Isis e, peggio, di essere loro i finanziatori del gruppo che ha preso il posto di Al-Qaeda (surclassando in un anno i seguaci di Osama bin Laden per brutalità, strategia,  soldi e marketing mediatico). Basta rileggersi il trascript di un programma andato in onda su Cnn il 7 ottobre 2014 per averne conferma – Joe Biden: “Hanno fatto piovere centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di tonnellate di armi nelle mani di chiunque fosse in grado di combattere contro Assad, peccato che chi ha ricevuto i rifornimenti erano… al Nusra, al Qaeda e gli elementi estremisti della Jihad provenienti da altre parti del mondo”  (…) Una settimana fa, ulteriore inattesa conferma. Il gruppo conservatore americano “Judicial Watch” ha reso pubblico un rapporto ‘top secret’ della Dia (Defense Intelligence Agency), i servizi segreti del Pentagono. Il documento, 7 pagine, datato 12 agosto 2012, espone il solito errore geopolitico di sempre. La Dia prevede e convalida la creazione di uno Stato islamico per sbarazzarsi del presidente siriano Bashar al-Assad, la cui dittatura – oggi sappiamo – ha causato il  massacro di oltre 200.000 vittime nella guerra civile siriana.

Dunque, grazie a Luca Ciarroca, spunti di riflessione non ne mancano…

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